La corsa “in scia”. Utilizzo dei pacemakers (cc.dd. lepri) nelle gare di endurance in atletica leggera: vantaggi reali o mito?
Introduzione
Attualmente nelle manifestazioni podistiche di massa è sempre più richiesto dagli atleti (a tutti i livelli) l’utilizzo delle “lepri”. Il fenomeno, presente in passato solo fra i “top runners”, è divenuto un vero e proprio servizio ausiliario messo a disposizione dagli organizzatori. L’obiettivo di questa ricerca è capire se la riduzione della resistenza frontale dell’aria attraverso l’utilizzo dei pacemakers (cc.dd. lepri) in gara può veramente avere effetti favorevoli dal punto di vista psicologico, fisiologico, meccanico o da più punti contemporaneamente, analizzando le seguenti questioni: a) la “scia” riduce le variabili fisiologiche (consumo d’ossigeno, flusso ventilatorio, frequenza cardiaca) e queste sono differenti alle diverse velocità o in base alla posizione assunta dietro ad un leader o ad un gruppo di atleti? b) la “scia” riduce la percezione della fatica ed è un importante aiuto psicologico in vista di un impegno di 42 km? c) attraverso i nuovi software a disposizione è possibile analizzare la pressione attorno ai corridori “in scia” e valutare la distanza massima alla quale vi sono ancora vantaggi?
Considerando che sempre più spesso ai grandi eventi internazionali, solo piccole differenze cronometriche distanziano la medaglia d’oro dalle altre posizioni, il grado con cui la “scia” può fisiologicamente beneficiare i corridori delle lunghe distanze ha implicazioni precise non solo sulle prestazioni cronometriche. Comprendere i reali vantaggi derivanti dall’utilizzo delle lepri sarebbe quindi utile ad allenatori e atleti per capire i risultati di gare o allenamenti, e agli organizzatori per capire quali servizi erogare e perché. L’aspetto delle “lepri” ha sollevato in passato problemi di carattere etico e attualmente ha posto anche problemi di carattere regolamentare in presenza di atleti di sesso maschile che hanno “permesso” ad atlete di ottenere record nazionali o mondiali in gare miste. Durante il congresso mondiale della IAAF, svoltosi a Daegu nell’imminenza dei Mondiali 2011, è stata ratificata una norma che ha sollevato polemiche e discussioni. La nuova regola riguardante il primato mondiale della maratona femminile ha disposto che eventuali record potranno essere ratificati solo se ottenuti in gare nelle quali le atlete corrano in competizioni riservate solo al loro sesso e non nelle maratone dove la partenza di uomini e donne avviene contemporaneamente, non potendo più avere le ragazze l’opportunità di un riferimento e di un “traino” maschile. Il tutto chiama in causa il record stabilito dalla britannica Paula Radcliffe (2h15’25” Londra 2003), visto che all’epoca uomini e donne partivano assieme. Tale risultato è stato in un primo tempo “declassato” a miglior prestazione mondiale, ma poi la IAAF è ritornata sulla sua decisione non applicando retroattivamente la nuova regola, che vale solo a partire dall’1- 1-2012. In considerazione dell’eventuale importanza del fabbisogno di energia per superare la resistenza dell’aria e del vento, i benefici della “scia” dietro al “leader”, o comunque dietro un altro atleta in diverse attività, sono stati studiati da diversi ricercatori. A tal proposito, si precisa che la resistenza dell’aria è la forza esercitata dall’aria su un corpo che si muove attraverso essa stessa, o su un corpo fermo e con l’aria circostante in movimento. Gli esperti di aerodinamica, invece, preferiscono il termine “aerodynamic drag” o (AD) ossia “resistenza aerodinamica” e limitano il suo significato alla sola componente di resistenza nella direzione del flusso d’aria indisturbato. Per il presente project work “resistenza dell’aria” e “drag” possono essere presi come sinonimi. È chiaro che l’AD potrebbe influenzare in modo significativo le prestazioni in un certo numero di sport, e ci sono motivi validi che spingono a pensare che le misure per ridurre questa resistenza possano conferire facilmente un vantaggio che altrimenti solo un allenamento lungo e difficile può apportare.
Ipotesi
1. Le variabili fisiologiche: consumo di ossigeno, concentrazione di lattato nel sangue, frequenza cardiaca e flusso ventilatorio possono essere ridotte durante le prove “in scia”.
2. La percezione della fatica può essere ridotta durante le prove “in scia”.
3. Le differenti posizioni “in scia” possono condizionare differentemente le variabili fisiologiche. La posizione “draft” dietro un gruppo di corridori può ridurre le variabili fisiologiche in maniera maggiore rispetto ad essere in “drafting position” dietro un singolo atleta.
Metodologia e strumentazione
Gli aspetti del problema sono stati investigati con l’utilizzo combinato di più tecniche. Per gli aspetti fisiologici e biomeccanici è stata realizzata una rassegna delle ricerche pubblicate sulle riviste scientifiche internazionali (cfr. tabella 1). In quasi tutti gli studi citati, sono stati testati atleti d’élite o comunque di buona specializzazione, con test da campo o di laboratorio atti ad analizzare i seguenti aspetti: consumo d’ossigeno (VO2), concentrazione di lattato nel sangue (LA), frequenza cardiaca (HR) e il flusso ventilatorio (VE). In qualche caso è stata utilizzata anche la percezione della fatica “rate of perceived exertion” (RPE) attraverso la scala di Borg (1970, 1973), oppure indagato il rendimento meccanico “load running efficiency” (LRE) dovuto ad adattamenti posturali. Per l’analisi degli aspetti psicologici e comportamentali è stato predisposto un questionario strutturato formato da 10 domande. A corollario del lavoro, viene proposta una simulazione del flusso e attrito dell’aria, a diverse velocità e con condizioni climatiche ed ambientali certe: altitudine (0 s.l.m.) e temperatura (20° C) attraverso codice fluidodinamico tridimensionale.
Resistenza dell’aria e dell’acqua nello sport
ASPETTI FISIOLOGICI
Gli effetti della resistenza al vento sulla richiesta energetica sono ben documentati in molti sport in quanto sono una delle principali fonti di dispendio di energia soprattutto in quelli dove si raggiungono alte velocità. La resistenza aerodinamica è dovuta:
• dalla pressione che deriva dalle molecole d’aria che colpiscono una superficie e che, rimbalzando, subiscono cambiamenti di velocità esercitando forze normali sulla superficie;
• dall’attrito dell’aria che nasce dal movimento di scorrimento delle molecole d’aria lungo la superficie scontrandosi con superfici ruvide.
Il fluido può essere laminare o turbolento, a seconda di molti fattori quali la velocità, rugosità superficiale, e il tipo di superficie del materiale (Halliday et. al. 1988, Olsen et. al. 1987). A basse velocità il flusso delle molecole d’aria sarà “laminare” traducendosi in attrito molto basso. Quando la velocità relativa dell’aria o la superficie aumentano, il flusso “laminare” diventa instabile e gli strati d’aria cominciano a separarsi. Il flusso diventato turbolento è caratterizzato da vortici o mulinelli d’aria (fig. 1) e gli strati turbolenti hanno una resistenza molto più alta degli strati laminari. Tuttavia, la più alta resistenza è causata dall’instabilità che si crea a velocità d’aria prossime alla transizione tra il flusso laminare e quello turbolento (Birkoff 1960; Halliday et al. 1988). Paradossalmente la AD può essere cinque volte maggiore nelle fasce di velocità di transizione rispetto a quella nel flusso puramente turbolento. Pertanto, ne consegue che per ottenere bassa resistenza questa zona di transizione deve essere evitata. In uno studio sul ciclismo, la zona di transizione è stata stimata a velocità fra 4 m•s-1 e 6 m•s-1 (Tipler 1990). Considerate le somiglianze dei coefficienti geometrici e di “scia” fra i ciclisti e i corridori, secondo il fisiologo britannico Pugh (1976), la zona di transizione si potrebbe teoricamente individuare alla stessa gamma di velocità. Questo, però, coincide proprio con i ritmi delle gare di lunga distanza. Sempre secondo Pugh, ci sono quattro modi per ridurre la resistenza anziché ridurre la velocità:
• prendere una posizione a ridosso di un altro concorrente (effetto di schermatura);
• riduzione dell’Ap ossia “Area proiettata”;
• riduzione del CD ossia “Coefficiente di resistenza aerodinamica”;
• aumento di altitudine (utilizzato soprattutto nelle gare di sprint).
Una strategia che potrebbe ridurre le forze di AD è, quindi, correre in posizione coperta (fig. 3). Questa tecnica è comunemente applicata nello sci nordico, nel ciclismo ed in altri sport. Molti ricercatori o corridori raccomandano la tattica di corsa all’ombra di un altro corridore, soprattutto sulla base di risultati ottenuti dalle indagini sugli effetti della “scia” e da aneddoti. Ovviamente, l‘idea del risparmio energetico nello spostamento in gruppo non è nuova: uccelli e pesci sono ben consapevoli dei vantaggi della “formazione a V” (Shanebrook e Jaszczak 1976).
Ad oggi, nel panorama sportivo in genere, molti studi sono stati effettuati per valutare gli effetti della “scia”. Nello sci, Spring e colleghi (1988) hanno riscontrato una riduzione della resistenza di circa il 25% quando uno sciatore ne segue un altro entro due o tre metri in posizione di ½ squat e su ski roller (figura 4) mentre Bilodeau e colleghi (1994) hanno osservato una riduzione media di 9 battiti•min-1 quando un atleta scia in posizione coperta (i dati sono stati confrontati con quelli dello sciatore stesso quando era da solo) a due metri di distanza e ad una velocità fissa di 5,6 m•s-1 per due chilometri (154 vs 163 battiti•min-1) corrispondente al 5,6% mentre non è stata osservata nessuna differenza nella concentrazione di lattato.
Altra forma di locomozione studiata è il pattinaggio di velocità su ghiaccio (di Prampero et al. 1976, van Ingen Schenau 1982, Rundell 1996, Krieg et al. 2006) in cui la velocità aerobica massima è più vicina al ciclismo che alla corsa (≈ 40 km•h-1 per la gara dei 10.000 m), suggerendo che una frazione rilevante del costo energetico è spesa per superare la resistenza dell’aria.
Van Ingen Schenau (1982) ha trovato una diminuzione della resistenza del 23% e del 16% quando un pattinatore viene schermato a un metro e a due metri da un altro atleta nella galleria del vento. In questo sport, però, tutti i vantaggi non possono essere ottenuti sulla pista lunga dal momento che la “scia” non è permessa dal regolamento se non durante il cambio di corsia dal pattinatore situato in posizione posteriore. Restano chiaramente evidenti i vantaggi potenziali offerti dalla “scia” in gare su grandi distanze (da 40 km a 200 km all’aperto).
Secondo Rundell (1996a) pattinare “in scia” (D) a 8,8 m•s-1 ha portato ad una riduzione media di 6 b•min-1 dell’HR (174 ± 9,0 D vs 180,4 ± 8,7 ND bpm) e una riduzione di LA (5,56 ± 2,18 D vs 7.75 ND mmol•L-1). Questa differenza corrisponde ad una riduzione di solo 5-5,5% del consumo di ossigeno (Rundell, 1996b).
Anche gli sport acquatici ed il loro modello prestativo, sono comunemente studiati al fine di ottimizzare le prestazioni fisiologiche applicando delle basi scientifiche alla pratica quotidiana. Per esempio, una tecnica comunemente impiegata in acqua piatta nelle gare di kayak e di canoa è la “wash riding” o “on the wave”, in cui si immerge la propria imbarcazione nella “scia” lasciata dall’imbarcazione precedente. È stato ipotizzato da Gray e colleghi (1995) che questa manovra sia analoga alla “scia” nel ciclismo dietro a cinque atleti. Questo studio mostra, anche, che in atleti altamente addestrati ed esaminati nel corso di un esercizio di 10.000 metri a ritmo gara (3,7 m•s-1), una significativa diminuzione (-11%) nel consumo di energia durante WR è stato trovato rispetto alla NWR, che ne ritarda l’insorgenza della fatica.
L’analisi esplorativa della letteratura esistente ha evidenziato, però, che la maggior parte delle ricerche effettuate in questo campo riguardano il ciclismo dove, viste le alte velocità raggiunte, l’AD responsabile all’80-90% del costo energetico è dovuta alla resistenza delle forze che sono proporzionali alla v2 (velocità al quadrato), contro gli effetti più bassi riscontrati fra i podisti (4- 8%) (Kyle 1979a).
Proprio nel ciclismo, Pugh (1974 e 1976) asserisce che ciò consenta ad un gruppo compatto di ciclisti di avere una velocità superiore di 5 km•h-1 rispetto ad un ciclista solitario. Cambiando il leader ogni 10/20 secondi, il gruppo riesce a mantenere una velocità maggiore rispetto a quella corrispondente al VO2 max di ciascun atleta.
Quindi, in piano, la resistenza all’aria è di gran lunga la più grande forza che si oppone al movimento in avanti del ciclista stesso e può essere notevolmente ridotta dalla scia di un altro ciclista o di un veicolo. L’atleta che segue, infatti, può avvalersi dell’area di bassa pressione che si genera alle spalle dell’atleta leader.
Nel 1979 Chester Kyle ha stabilito che la “scia” direttamente dietro un altro ciclista riduce la resistenza dell’aria del 44%, indipendentemente dal numero di ciclisti che formano la pace-line (benché questo test sia stato effettuato una volta sola) e ha anche riferito che la resistenza dell’aria è stata ridotta solo del 23% quando il ‘ciclista’ era in posizione leggermente laterale anziché direttamente dietro. McCole e colleghi (1990) hanno condotto uno studio simile a quello di Kyle, misurando il dispendio energetico e il consumo di ossigeno di ciclisti professionisti su strada (rettilineo pianeggiante). Hanno segnalato una riduzione del 18% del VO2 a 8,89 m•s-1 ed una riduzione del 27% a 10,28-11,11 m•s-1 per i soggetti “in scia” alle spalle del leader. La “scia” di 1,2,3 o 4 ciclisti in linea ha provocato la stessa riduzione del VO2, mentre quella di un gruppo di 8 ciclisti a 11,11 m•s-1 lo ha ridotto del 39%. Questi ultimi risultati sugli effetti dietro un gruppo di atleti sono in conflitto con le precedenti osservazioni di Kyle dimostrando la necessità di avere più soggetti e più prove in queste indagini. Nel ciclismo su pista, infine, una riduzione del 10% della frequenza cardiaca era stata già notata in posizione coperta da Caru e colleghi (1987).
Alla luce di questi risultati, dal 1995, a seguito del cambio di regolamento da parte della Federazione Internazionale di Triathlon (Itu), che ha permesso la “scia” in alcune manifestazioni chiamate gare “draft” o “draft legal races” differenziandole da quelle “no-draft” denominate anche “draft illegal races” sono variati sia i risultati finali che le tattiche di gara.
Hausswirth e Brisswalter (2008) ammettono che l’emergere di nuovi sport ai Giochi Olimpici come il nuoto in acque libere (Pechino 2008) e il triathlon (da Sydney 2000) ha portato gli scienziati dello sport e gli allenatori nazionali a porsi diverse domande sul processo fisiologico che regola queste nuove discipline. È ovvio che la “scia” è stata studiata in ciascuna delle tre discipline che compongono il triathlon (Chollet et al 2000, Kyle 1979a, e Pugh 1971) e si è dimostrato di gran lunga più vantaggioso per i soggetti testati restare “in scia” nel ciclismo, rispetto al nuoto e alla corsa, come è chiaramente dimostrato per esempio dalla riduzione della frequenza cardiaca quando si pedala in gruppo.
Anche nel nuoto, quindi, nonostante le velocità siano 10-15 volte più basse del ciclismo e la differenza dovuta all’alta densità dell’acqua (998 kg•m-1) contro l’aria (1,2 kg•m-1), è stato molto indagato l’effetto della resistenza dell’acqua (Chollet et al. 2000, Millet et al. 2000), arrivando a dimostrare che nuotare dietro o lateralmente ad un altro atleta può incrementare la velocità fino a 3.2% (Chatard et al. 1998). Durante il nuoto, la forza principale che si oppone all’avanzamento è dovuta alla resistenza fornita dall’acqua che, come si è già detto, è circa 800 volte più densa dell’aria. In ogni momento la velocità del nuotatore è determinata da due forze. Una tende a frenarlo: questa è la resistenza causata dall’acqua (Drag); l’altra lo fa avanzare: questa è definita propulsione ed è generata dal movimento degli arti superiori e inferiori. Per poter avanzare a una velocità costante il nuotatore deve produrre una forza propulsiva che bilanci la resistenza offerta dall’acqua.
In “scia”, Basset e colleghi (1991) hanno riscontrato una riduzione della percezione della fatica fino al 21% mentre Millet e colleghi (2000) e Chatard e Wilson (2003) hanno dimostrato che la posizione ottimale per sfruttare la “scia” era in un range fra 0 e 50 centimetri dietro ad un altro nuotatore, sebbene una significativa riduzione metabolica persiste ancora a 100 e 150 cm di distanza. I risultati hanno dimostrato una riduzione del consumo di ossigeno dell’11% e della frequenza cardiaca del 6% a parità di cadenza delle bracciate. Questo risultato ha confermato la media di 60 cm di distanza adottata spontaneamente nel triathlon di alto livello e il fatto che questo potrebbe migliorare la successiva frazione in bicicletta. Tutti gli studi sugli sport acquatici e sulle loro specificità fisiologiche e biomeccaniche sottolineano gli alti benefici derivanti dall’adozione della “scia” che l’atleta potrebbe sfruttare per aumentare la sua prestazione. Tuttavia, l’abilità e la capacità tecnica per sfruttarla al meglio necessitano di essere integrate quotidianamente nei programmi di allenamento al fine di adottare la posizione più efficace durante le gare (Hausswirth e Brisswalter 2008).
Tornando alle gare di triathlon, altro dato interessante è stato fornito proprio dallo studioso francese Hausswirth e colleghi in due differenti lavori (1999, 2001), i quali indicano che la “scia” in bicicletta (distanza 0,2 – 0,5 metri) riduca significativamente il costo energetico a velocità media di 39,5 e 40,9 km•h-1. Inoltre si è arrivati a supporre che l’utilizzo della “scia” nella frazione in bici migliori le prestazioni nella successiva frazione di corsa. I risultati hanno, infatti, dimostrato che correre dopo aver pedalato in situazione coperta ha migliorato significativamente la velocità di corsa rispetto a quella della modalità “No-Draft” (17,8 D vs 17,1 km•h-1 ND) sottolineando miglioramenti delle prestazioni nella corsa, in particolare e con maggiori benefici, per i corridori più forti. I risultati sono illustrati nella figura 5. In quasi tutti gli sport citati precedentemente, molti autori hanno indagato anche quali vantaggi si possono ottenere con l’utilizzo di materiali e articoli più aerodinamici o performanti come caschi, pedali, costumi, body, appendici per manubri, ruote lenticolari, ecc… (Kyle 1986).
Anche in questo caso, probabilmente, è stata proprio l’introduzione del nuovo regolamento del triathlon a stimolare i ricercatori ad effettuare altri lavori nel campo dell’idrodinamica e dell’aerodinamica per le prove di nuoto e ciclismo divenute decisive ai fini del risultato complessivo di gara, tralasciando quelli ritenuti meno importanti come la corsa. Qui, invece, vi sono meno studi sulla resistenza dell’aria e tutti risalenti agli anni ‘70-‘80 (Pugh 1970 e 1971; Kyle 1979; Davies 1980b e 1981).
Chiaramente, nello sport e in ogni disciplina, soprattutto quando si raggiungono livelli di eccellenza, anche valori dell’1- 2% non devono essere trascurati. Anche nella corsa, infatti, alcuni studiosi hanno provato a dimostrare che piccoli particolari come orecchini, capelli lunghi o corti, calze e pantaloncini lunghi o corti, possono ridurre o aumentare la resistenza dell’aria con conseguente vantaggio cronometrico o meno (Brownlie et al. 1987a e 1987b; Kyle 1986; Kyle e Caiozzo 1986).
ASPETTI BIOMECCANICI
Nell’utilizzo della “scia”, oltre agli evidenti vantaggi fisiologici dimostrati nelle precedenti ricerche, si dovrebbe tenere conto anche dei probabili vantaggi meccanici derivanti dall’assunzione di una particolare postura. La riduzione della superficie frontale e quindi dell’esposizione all’AD è facilmente realizzabile in molti sport. I ciclisti possono piegarsi in avanti fino a quando le spalle non sono orizzontali al terreno e le loro braccia non sono aderenti al proprio corpo, nello sci alpino gli sciatori possono accovacciarsi e assumere una posizione “ad uovo” e nel pattinaggio si può piegare il proprio corpo a 90 gradi in modo che sia parallelo al terreno (fig. 6).
Nel triathlon Hausswirth e colleghi (1999 e 2001) hanno calcolato che il più basso fabbisogno energetico nella frazione di ciclismo è legato all’utilizzo di rapporti differenti che permettono una frequenza di pedalata di 95 rpm se il triatleta pedala dietro ad un leader rispetto a 89 rpm quando invece è da solo. Gli autori hanno suggerito, nel contesto delle gare di triathlon, alla necessità di implementare le tecniche di “scia” in allenamento adattando e aumentando immediatamente la lunghezza della falcata. Si è visto che all’inizio della corsa fatta dopo la frazione in bicicletta in situazione ADT (alternate draft triathlon), il passo era più corto rispetto a quello eseguito in situazione CDT (continuous draft triathlon) (1,63 m. vs 1,68 m.). Gli autori hanno, però, dimostrato che la cadenza di pedalata influenza l’ampiezza del passo solo durante la prima parte della corsa, come dimostra la mancanza di cambiamento nell’ampiezza e nella frequenza registrato dal secondo al quinto chilometro. Valori simili, invece, sono stati ottenuti dalla metà gara in poi sia nel triathlon CDT che ADT.
Caso particolare si riscontra nel pattinaggio su ghiaccio, dove Rundell (1996b) ha dimostrato che nello “short-track” alla velocità di 32 km•h-1 si possono compromettere i benefici della “scia” per la perdita di potenza dovuta al superamento delle elevate forze che intervengono pattinando nelle curve strette. Inoltre, la necessità per il pattinatore di regolare e adeguare la propria frequenza a quella del pattinatore di testa mentre è in “scia” spiegherebbe perché non ci sono differenze significative alla distanza di circa 0,75 metri e 1,20 metri di distanza. Gli stessi problemi sono stati riscontrati da Krieg e colleghi nel 2006. Questi motivi potrebbero spiegare perché i benefici osservati non sono così grandi come quelli osservati nel ciclismo.
Resistenza dell’aria nel running
In qualsiasi gara di mezzofondo, o fondo prolungato, le prestazioni ottimali sono generalmente ottenute utilizzando in modo efficiente l’energia disponibile. Più lunga è la distanza di una gara e più diventa importante il risparmio energetico. Come si è visto, l’entità del costo energetico per superare la resistenza dell’aria è talmente grande che i benefici si ottengono anche a velocità relativamente basse e anche un’eventuale bassa riduzione del VO2 potrebbe portare ipoteticamente a miglioramenti significativi delle prestazioni (Cavanagh 1990). Però, nonostante esista in letteratura una quantità sufficiente a spiegare gli effetti della resistenza dell’aria, pochi autori hanno indagato sull’argomento della schermatura (di cui uno solo sembra sia stato condotto realmente su corridori, Pugh 1971).
ASPETTI FISIOLOGICI RELATIVI ALLA RESISTENZA DELL’ARIA
Nel moto orizzontale in una giornata di aria calma, la potenza necessaria per superare la resistenza dell’aria è fornita interamente dal lavoro dei muscoli. La forza esercitata ed il dispendio energetico del lavoro contro la resistenza dell’aria sono quindi di interesse fisiologico (Pugh 1976).
Nell’atletica, i primi lavori in questo campo sono stati fatti dal fisiologo, già premio Nobel, Archibald Vivian Hill, un pioniere della bioenergetica muscolare al quale si deve, fra gli altri, l’introduzione di molti concetti (massimo consumo d’ossigeno e debito d’ossigeno). Proprio da Hill (1927), infatti, deriva un’equazione per trovare il rapporto tra la resistenza dell’aria e la velocità di corsa.
I risultati sono stati ottenuti utilizzando al posto del modello del corridore, una bambola di legno raffigurante un mini-corridore (8 pollici / 20 centimetri) in una mini-galleria del vento (3 piedi), misurando la pressione esercitata sul modello a varie velocità d’aria e calcolando il dispendio di energia che sarebbe necessario per vincere tale resistenza. Così facendo, Hill ha concluso che la forza esercitata dal corridore contro l’AD varia con la densità dell’aria, con l’AP del corridore stesso e con il quadrato della velocità, stimando che la resistenza dell’aria rappresenterebbe il 3% della spesa totale di energia alla velocità di mezzofondo (6 m•s-1) e il 4% alla velocità delle gare di sprint (10 m•s-1). La stima di Hill relativa al dispendio energetico necessario per vincere la resistenza dell’aria nello sprint, però, era troppo bassa. La ragione era che all’epoca la potenza sviluppata nello sprint era stata sovrastimata. Solo qualche anno più tardi, Margaria (1968) e Lloyd (1967) hanno ricalcolato il costo energetico dovuto alla resistenza dell’aria alla luce delle moderne stime sulla potenza sviluppata. Hill, con i suoi risultati, pur sottovalutando gli effetti della resistenza dell’aria, ha comunque sollevato una questione interessante che ha spinto altri a perseguire questa linea di ricerca.
Nonostante l’equazione di Hill sia stata usata successivamente da molti autori (fra cui lo stesso Pugh, 1970), per calcolare la spesa energetica o la potenza sviluppata da un atleta per vincere la resistenza causata da una certa pressione del vento, è necessario conoscere l’efficienza meccanica del lavoro fatto, e questo non può essere determinato semplicemente con un modello.
L’interesse alla questione della resistenza dell’aria aumentò durante i test effettuati con atleti che correvano su una pista di atletica in carbonella all’aperto e su treadmill (Pugh 1970). I risultati del suo studio indicano che il costo energetico per vincere la resistenza dell’aria alla velocità di corsa di 21,5 km•h-1 era circa dell’8% mentre nelle gare di velocità era del 16% del costo energetico totale. Inoltre la relazione tra VO2 e velocità di corsa in pista era sensibilmente più ripida rispetto alla relazione esistente nella corsa sul treadmill, che, invece, elimina la resistenza dell’aria. Vi erano, evidentemente, altri fattori che contribuivano oltre alla resistenza dell’aria (come la differenza di superficie e la presenza di curve) che potevano contribuire a determinare le differenze di VO2 ad una certa velocità su pista e sul treadmill.
L’anno successivo sono stati effettuati test in camera climatica (Pugh, 1971) in cui un atleta ha corso a velocità costante su un treadmill contro venti di diversa velocità. I risultati stabiliscono che in un atleta di 65,6 kg. che corre alla velocità di 4,45 m•s-1 il VO2 aumenta da 3,0 l/min con vento minimo fino a 5,0 l/min con un vento di 18,5 m•s-1 (66,60 km•h-1). Con questo studio Pugh ha ridimensionato i risultati pubblicati l’anno precedente dimostrando che in pista, alla velocità con cui venivano corse le gare di mezzofondo negli anni ’70 (6 m•s-1 o circa 67 secondi ogni 400 m.), circa il 7,5% dell’energia veniva utilizzata per vincere la resistenza dell’aria (ovviamente questi valori variano in relazione dell’altitudine, alla temperatura ed alla densità dell’aria) arrivando al 13,6% nelle gare di velocità. Con i suoi studi Pugh ha certamente compiuto anche lo sforzo base per misurare gli effetti della resistenza dell’aria su un corridore schermato da un altro atleta.
Gli effetti dell’AD sono stati successivamente ipotizzati e desunti dai risultati pubblicati sulle differenze della corsa in pista e quella su treadmill. Maksud e colleghi (1971) hanno scoperto che a velocità di corsa di 4,47 m•s-1 e 5,36 m•s-1 il VO2 era significativamente più alto durante la corsa in pista rispetto al treadmill, ma che non vi erano differenze significative alla velocità di 3,13 m•s-1. Ulteriori prove indicano che l’effetto della resistenza dell’aria sull’economia della corsa diventa progressivamente maggiore quanto più aumenta la velocità di corsa (McMiken e Daniels 1976; Daniels et al 1985). McMiken e colleghi (1976), addirittura, non hanno trovato differenze significative nell’economia della corsa fino al raggiungimento della velocità di 4,33 m•s-1 mentre Daniels e colleghi (1985) hanno riferito che correre sulla pista di atletica ha prodotto superiori richieste aerobiche solo a velocità superiori di 4,47 m•s-1.
Da questi tre studi, è chiaro che le forze di resistenza svolgono un ruolo significativo a velocità maggiori di 4,47 m•s-1.
Dieci anni dopo, anche Davies (1980b, 1981) ha allargato le scoperte di Pugh, utilizzando essenzialmente le stesse tecniche, ha incluso anche l’osservazione degli effetti della corsa a varie velocità in discesa e in salita e dei venti a velocità diverse calcolando che in una giornata calma il costo energetico necessario per vincere la resistenza dell’aria nella maratona (5 m•s-1) influisce solamente del 2%. Questo vantaggio, però, sempre secondo Davies (1980b e 1981), sarebbe virtualmente trascurabile per tempi oltre 2h30’. Il vantaggio sarebbe maggiore per velocità più alte: 4% a 6 m•s-1 e 7,8% a 10 m•s-1. Inoltre, nella galleria del vento, la misurazione sul treadmill, con vento frontale fino a 18 km•h-1 non ha mostrato alcun effetto sul costo energetico della corsa. Questo, però, non significa che sulla strada, correndo contro un vento di 18 km•h-1 non ci sarà alcun effetto negativo. Al contrario, esso avrà un effetto molto più marcato perché sul treadmill l’atleta non va in avanti e non consuma energia per superare la resistenza dell’aria. Su strada, invece, un vento di 18 km•h-1 si sommerà alla velocità di vento reale (cd. vento apparente).
Secondo Noakes (2001) la rilevanza pratica di questo potrebbe essere che, in una giornata di calma assoluta (anche se, però, la velocità relativa dell’aria sulla pista di atletica o su strada raramente è pari a zero), chi corre più lento di 18 km•h-1 (ritmo di 3’20” al km che porta ad un risultato di 2h20‘-2h21’ sulla maratona) non avrà vantaggi dallo sfruttamento della “scia” di altri corridori, mentre potrebbe ottenere considerevoli vantaggi correndo a velocità più elevate, oppure correndo controvento che, aggiunto alla propria velocità di corsa, renderebbe la velocità del vento apparente maggiore di 18 km•h-1. Per questo motivo, il fenomeno delle “lepri” nelle maratone negli ultimi decenni è sempre più utilizzato e apprezzato.
Infine, con forte vento contrario, il consumo d’ossigeno nella corsa aumenta notevolmente. Vento a 35 km•h-1 ridurrebbe la velocità di corsa di circa 2,5 km•h-1 mentre a 60 km•h-1 la ridurrebbe di circa 8 km•h-1 (Noakes 2001).
Se, come appena citato, il forte vento contrario riduce la velocità di corsa, il vento a favore, invece, la aumenta. Oltre alla corsa in “scia”, infatti, il solo modo per annullare la resistenza all’aria è godere di un vento favorevole la cui velocità sia almeno pari a quella del corridore. Negli stessi lavori Davies ha rilevato che l’effetto del vento favorevole è circa la metà di quello contrario. Quindi un vento favorevole di 19,8 km•h-1 è un piccolo contributo per atleti che corrono più lenti di 18 km•h-1, ma lo stesso vento aiuterebbe il tentativo di record mondiale in maratona, aumentando la velocità del corridore di oltre 0,5 km•h-1. Addirittura velocità favorevoli superiori a 35-66 km•h-1 migliorerebbero la velocità di corsa da 1,5 a 4 km•h-1.
A tal proposito, è stato stimato (Dapena e Feltner 1987) che 2 m•s-1 di vento a favore può dare a un velocista un vantaggio di 0,07 secondi sui 100 metri; mentre il vento di 2 m•s-1 contrario può comportarne uno svantaggio di 0,085 secondi.
Magari non saranno stati questi dati, ma potrebbe essere stata proprio questa motivazione a spingere la IAAF (Federazione Internazionale di Atletica Leggera) a prevedere fra le proprie regole che i risultati delle gare di velocità e salti in estensione con vento favorevole +2,0 m•s-1 siano da considerare non omologati e che nella maratona, per eventuali primati del mondo, la distanza tra partenza e arrivo, in linea d’aria, non debba essere superiore al 50% della distanza complessiva.
Questo parametro, qualora superiore, favorirebbe gli atleti in caso di aiuto costante dovuto alla presenza di vento favorevole (come accaduto alla Maratona di Boston 2011 dove a causa di una percentuale di distanza del 91% non è stato omologato il crono di 2h03’02” ottenuto da Geoffrey Mutai).
Come si può notare dalla tabella 2, è diversa la metodologia proposta dai vari studiosi ma ampio è anche l’ambito dei valori riscontrati. Ad esempio, mentre Pugh (1971) indica che la resistenza dell’aria contribuisce soltanto per il 7,5% correndo a 6 m•s-1, Kyle (1979a) ritiene che il costo energetico arrivi fino al 9% (alla stessa velocità). A questi risultati si è arrivati nonostante:
• la diversa metodologia di indagine utilizzata;
• i diversi ambienti;
• gli atleti testati non siano stati sempre di alta specializzazione.
ASPETTI FISIOLOGICI RELATIVI ALLA CORSA “IN SCIA”
Considerando che la fascia di velocità critica tra 4-6 m•s-1 è la zona di transizione tra flusso d’aria laminare e quello turbolento e che queste sono le stesse velocità alle quali competono i corridori d’élite, è possibile che il dispendio energetico e quindi l’economia di corsa siano nettamente modificati dalle forze di resistenza aerodinamica che un atleta incontra. É sorprendente che ci siano stati pochi lavori sulla “scia” e le diverse configurazioni assunte dai corridori di lunghe distanze. Pugh (1971) ha esaminato cosa accade all’economia di corsa quando un podista resta coperto dietro un altro corridore. In questo case-study, in laboratorio, ha misurato il consumo di ossigeno di un atleta di lunghe distanze durante la corsa su un “treadmill” a 4,45 m•s-1 controvento a velocità variabile.
Con questo lavoro Pugh è stato il primo a studiare gli effetti della schermatura nel running.
Secondo le sue stime, correndo direttamente dietro ad un atleta “leader” (in questo caso si trattava di una sagoma di compensato leggermente più piccola dell’atleta 177,8 contro 179,1 cm ma sospesa in modo che la parte inferiore del bordo fosse 2 cm sopra il nastro del treadmill), si può risparmiare circa l’80% dell’energia sprecata per vincere la resistenza dell’aria e, in una gara di mezzofondo questo equivarrebbe ad un guadagno di circa quattro secondi al giro (Pugh 1971). Egli ha anche trovato che correndo coperto a circa un metro dietro ad un altro atleta si riduce il VO2 di 0,25 l•m-1 (-6,5%) contro un vento di 6 m•s-1 (figura 7).
Tuttavia, questa stima sembra essere elevata rispetto ad un miglioramento di circa un secondo al giro basato sull’esperienza reale di gara, come peraltro ammesso dallo stesso autore qualche anno più tardi (1976). Egli, infatti, nella resistenza al vento, non aveva tentato di determinare l’effetto dello spazio fra i corridori.
Nel 1971 ha anche misurato la pressione dinamica dell’aria intorno al corridore con un Tubo di Pitot (Pitot static tube) dimostrando che l‘effetto della “scia” è minore se vi è uno spostamento laterale tra il “leader” e gli atleti successivi. Gli spostamenti laterali di 40-70 centimetri hanno portato a riduzioni della resistenza al vento di 4-80%, rispetto a 89-98% per i podisti direttamente dietro al corridore di testa. La pressione era negativa a 60 cm dietro al corridore ed era ancora relativamente bassa un metro dietro. In posizione leggermente laterale la pressione era quasi la stessa di quella riscontrata due metri davanti all’atleta.
I risultati delle misurazioni di pressione sono mostrati nella figura 8, anche se l’autore omette alcune informazioni fondamentali non segnalando i parametri ambientali presenti nella camera climatica al momento dell’esperimento.
Comunque, il miglioramento dell’economia di corsa riscontrata in questo case-study suggerisce che, anche nella corsa, la “scia” potrebbe essere una tecnica utile per eliminare la resistenza aerodinamica, mentre i risultati sulla pressione sono utili per determinare quali posizioni possono essere migliori suggerendo che seguire un corridore direttamente dietro possa essere più efficace che seguirlo leggermente di lato. L’autore ha tentato anche di convalidare i suddetti risultati attraverso l’utilizzo di cilindri ellittici della stessa altezza e superficie degli atleti testati ma, come egli stesso ammette non è possibile ottenere risultati attendibili per vari fattori (rugosità o irregolarità di superficie, variazioni nelle dimensioni degli arti e del tronco in particolare nell’uomo in movimento) (Pugh 1971).
L’unica contro-prova disponibile in letteratura circa la corsa e la “scia” si trova in uno studio condotto sui ciclisti da Kyle (1979a) il quale, partendo dall’ipotesi che il coefficiente di resistenza per la posizione verticale in bicicletta fosse equivalente a quello dei corridori, ha utilizzato i risultati raccolti su ciclisti che hanno percorso un tratto indoor in posizione verticale, stimando che seguendo “in scia” si migliorerebbe l’economia della corsa del 4% se posizionati un metro dietro ad un atro corridore a 6 m•s-1 (valore seppur significativo ma comunque inferiore a quello ottenuto da Pugh 1971) e prevedendo che a ritmo dell’allora record del mondo nei metri 1.500 o nel miglio (7 m•s-1), correre due metri dietro al corridore leader può dare un risparmio energetico di circa 1.66 secondi al giro (confermando questa volta le stime di Pugh). Nello stesso anno, in un altro articolo Kyle ha anche dimostrato che correre dietro ad un altro atleta diminuisce la resistenza dell’aria del 28% a 3,65 m di distanza e del 64% alla distanza di 0,9 m a velocità fra 5,3 e 5,9 m•s-1.
Differenze metodologiche e computazionali potrebbero spiegare questa discrepanza. Tuttavia, un’altra ragione per spiegare la differenza può derivare dal presupposto errato fatto sul valore del coefficiente di resistenza. I valori stimati da altri ricercatori, infatti, differiscono considerevolmente da quelli utilizzati da Kyle (Pugh 1976; Shanebrook e Jaszczak 1976).
In generale, la stima sul CD può avere diversi problemi inerenti i calcoli su un corridore. In questo caso il CD è stato calcolato per un corridore nello stato passivo e nello studio di Kyle per un ciclista nello stato passivo in posizione verticale. L’ipotesi che il coefficiente possa essere lo stesso per un runner in movimento nasconde i possibili effetti che il movimento dei vari segmenti corporei possono avere fra loro e può avere sulla AD. Inoltre, un ciclista in posizione verticale può non avere la stessa posizione del corpo di un corridore in movimento.
È da notare che se nel ciclismo i benefici aumentano con la dimensione del gruppo e la distanza da esso, è del tutto possibile che la stessa ipotesi si possa applicare anche nella corsa.
Come è emerso, ad oggi, gli effetti fra “scia” e corsa sono stati solo superficialmente esaminati. Sulla pista di atletica poco è stato fatto per quantificarne gli effetti, forse soprattutto a causa della difficoltà di misurazione del consumo di ossigeno durante la corsa all’aperto e nelle configurazioni di gruppo o “in scia”. Oggi queste misurazioni sarebbero possibili con l’utilizzo dei moderni sistemi portatili per test da campo. Ulteriori ricerche sono necessarie per quantificare i benefici nella corsa sulle lunghe distanze.
ASPETTI BIOMECCANICI RELATIVI ALLA CORSA IN “IN SCIA”
Gli studi di Pugh (1970, 1971) hanno mostrato che il costo aggiuntivo della corsa controvento aumenta al quadrato della velocità del vento, mentre il costo aggiuntivo della corsa in salita aumenta con una funzione lineare con l’aumentare della pendenza.
Come suggerito da Pugh, ci sono quattro modi per ridurre la resistenza dell’aria. Fra queste, prendere una posizione a ridosso di un altro concorrente è la cosa più semplice e ovvia per non ridurre la velocità. Ma se per ciclisti, sciatori e pattinatori di velocità è facile adottare alcune posizioni particolari per limitare la resistenza riducendo l’Ap e di conseguenza il CD, la stessa cosa è poco possibile nella corsa.
I corridori, infatti, sono limitati nei loro adattamenti posturali, ma possono diminuire la loro superficie frontale e quindi il CD utilizzando indumenti tecnici (materiali e cuciture specifici) e coprendo o legando i capelli lunghi (test in galleria del vento su abbigliamento, capelli e scarpe hanno mostrato che è possibile ridurre la AD di un corridore da 0,5 a oltre il 6%). Come si è più volte osservato, la maggior parte delle ricerche sugli effetti della “scia” sull’AD, sul dispendio energetico e sulla performance sono stati condotti sui ciclisti, ma possono comunque dare informazioni utili applicabili ad altre discipline.
L’importanza di questi studi riguarda soprattutto il posizionamento all’interno del gruppo (Kyle 1979; McCole et al 1990) e indicano che correre alle spalle di un singolo atleta può aumentare in maniera significativa l’economia di corsa ma che la “scia” alle spalle di un gruppo può migliorarla anche di più ponendo, però, altri problemi tecnici: potrebbe essere strategicamente svantaggioso per un corridore restare “imbottigliato” nel gruppo stesso, soprattutto nei metri 800- 1.500. Inoltre, stare troppo ravvicinati (un metro dietro al leader) può non essere pratico, e questo può aver contribuito alla stima troppo ottimistica del possibile aumento di velocità (Kyle 1979a).
Un aspetto che andrebbe valutato nello studio degli effetti della “scia” è quello relativo alla meccanica di corsa che influisce sull’ampiezza e sulla frequenza del passo e, di conseguenza, sulle richieste energetiche.
Nelle sperimentazioni sinora condotte alla ricerca del miglior costo energetico individuale attraverso la variazione della frequenza e dell’ampiezza del passo ad una determinata velocità è insito un errore concettuale per cui i risultati ottenuti non possono essere altri: modificare con un intervento volontario qualsiasi movimento “spontaneo”, produce il sicuro effetto di appesantire il dispendio di energia. Il quesito che potremmo avanzare, a questo punto, è: siamo assolutamente certi che l’atleta sia in grado, sempre e comunque, di adeguare il suo potenziale motorio ai parametri tecnici e meccanici della corsa di durata in modo automatico e istintuale? (Incalza 2007).
Modifiche biomeccaniche, inconsciamente, potrebbero derivare dalla riduzione della forza di resistenza aerodinamica e, probabilmente, la costrizione alla sincronizzazione del proprio passo con quello della “lepre” per evitare spiacevoli urti potrebbe avere effetti positivi anziché negativi come si sarebbe portati a pensare, in quanto incrementerebbe in maniera involontaria il rendimento meccanico.
Uno degli elementi principali che incidono sul rendimento della corsa è la conservazione della quantità di moto, riducendo al minimo la “frenata” (dal momento in cui inizia la fase di contatto del piede a terra sino al passaggio del centro di massa al di là della proiezione del punto di applicazione della forza). Paradossalmente, quindi, la forzata riduzione di passo potrebbe influire positivamente sul rendimento meccanico riducendo il lavoro negativo per la conservazione della quantità di moto. Quindi, la sincronizzazione, così come altre fonti di modifiche biomeccaniche, potrebbero aver migliorato l’efficienza biomeccanica e variazioni relativamente piccole del consumo di ossigeno o degli altri valori possono essere state causate dai cambiamenti nella lunghezza e nella frequenza del passo.
La lunga serie di ragionamenti proposti nel suo studio del 2008 da Incalza e la sua convinzione che il movimento umano abbia alla base caratterizzazioni elettromeccaniche e che i metabolismi energetici siano “al traino”, nel tentativo di soddisfare e sostenere nel migliore dei modi le richieste metaboliche e non il contrario, ha fatto emergere l’ipotesi che l’aumento del costo energetico riscontrato negli studi sulla resistenza dell’aria o la sua diminuzione in presenza di atleti “in scia” possa essere la conseguenza di una diversa ma adeguata ritmica che consenta di utilizzare al meglio l’energia metabolica (Incalza 2008).
Simulazione con sistema CFD
Prendendo spunto dagli studi di Hill del 1927 (che per i suoi studi ha utilizzato un piccolo modello di legno) e Shanebrook e Jaszczak del 1976 (che hanno utilizzato un modello composto da una serie di cilindri circolari e una sfera congiunti fra loro e riportato nella fig. 9) e grazie alle moderne tecniche a disposizione ai giorni d’oggi, si è pensato di proporre una simulazione attraverso il sistema CFD (Computational Fluid Dynamics).
La fluidodinamica computazionale è la tecnica che permette lo studio dei problemi di fluidodinamica mediante l’utilizzo del computer e viene utilizzata nel campo dell’industria e della ricerca per tutte le problematiche che coinvolgono l’azione dei fluidi sui corpi in movimento. I modelli CFD cominciarono ad essere utilizzati negli anni ‘90 nello studio degli insetti e degli uccelli durante il volo e poi nel calcolo delle forze aerodinamiche o idrodinamiche coinvolte nella propulsione degli animali in movimento e la sua metodologia consiste in un modello matematico che attraverso una griglia di calcolo bidimensionale simula il flusso del fluido.
Gli scopi della seguente analisi sono stati:
• descrivere la pressione attorno ai corridori “in scia” attraverso l’analisi CFD in determinate situazioni;
• valutare la distanza in cui il coefficiente di resistenza del corridore posizionato dietro è uguale al coefficiente di resistenza del corridore leader, considerando velocità di flusso diverse;
Per la simulazione è stato costruito un modello del volume (in cui sono immersi gli atleti) abbastanza grande da non risentire delle condizioni di parete. Il modello costruito è un parallelepipedo delle seguenti misure: larghezza m 15, altezza m 5 e lunghezza m 20 al centro del quale vi sono “immersi” vari atleti.
Le condizioni al contorno sono state impostate in modo da rispettare al meglio le reali condizioni. In particolare, il volume studiato è stato considerato fermo, il terreno è stato simulato come “wall” imponendogli la velocità relativa esistente tra terreno ed atleti (nella simulazione è il terreno che si muove rispetto agli atleti che corrono alla velocità v imposta). Per simulare l’effetto dell’aria che incontrano gli atleti in corsa, come condizioni al contorno è stato impostato quale “velocity inlet” l’aria alla velocità v corrispondente a quella della corsa degli atleti stessi, in direzione opposta al moto. Sulle superfici alle spalle degli atleti sono state fissate le condizioni al contorno di “pressure outlet” e la pressione atmosferica. Sulle superfici laterali e su quella superiore, sono state impostate le condizioni al contorno di simmetria per ridurre ancora di più gli effetti di parete sulla “scia” del flusso. In condizioni di vento frontale o laterale, sulle superfici in cui arriva il vento alla velocità C impostata è stata sommata vettorialmente la velocità v degli atleti. Per valutare l’effetto del vento sugli atleti le superfici anteriori e posteriori degli stessi sono state evidenziate come “named sections” con le caratteristiche di “wall” in modo che durante le operazioni di post processing fosse possibile selezionarle singolarmente e calcolare la forza resistente generata dalla corsa e dal vento.
Per la soluzione della simulazione il software ha diviso il volume da analizzare in un certo numero di elementi elementari, generalmente tetraedri. Per poter meshare al meglio il volume senza ricorrere ad un numero elevatissimo di elementi è stato impiegato un sistema di meshatura “on curvature” che diminuisce la dimensione della mesh in corrispondenza di superfici ad elevata curvatura come quelle degli atleti. In questo modo la meshatura attorno gli atleti è risultata più fine ed in grado di simulare al meglio le variazioni delle grandezze fisiche. Per il presente studio, la mesh utilizzata è la stessa in tutte le simulazioni effettuate e risulta composta da 374.877 nodi per un totale di 2.103.475 tetraedri.
A questo punto sono state fissate le caratteristiche del fluido da considerare nel volume, le misure degli atleti e la scelta del modello fisico-matematico per la simulazione della turbolenza:
• aria con le seguenti caratteristiche: temperatura 20° c, densità 1,225 [kg/m3], costante di viscosità 1.7894e-05 [kg/ms], pressione atmosferica 101325 [pa].
• geometrie atleti: altezza 180 cm, superficie frontale 1,03 m2, superficie posteriore 1,1 m2. Gli atleti sono stati posizionati a cm 150 uno dall’altro (misura pettopetto), affiancati 100 cm e sfalsati a cm 50.
• il metodo impiegato per questo studio è il modello Spalart – Allmaras Standard k – (SKE). Questo modello è generalmente utilizzato nel campo dell’aerodinamica, delle turbomacchine, e delle applicazioni industriali.
Una volta meshato il volume, sono state impostate le condizioni al contorno relative alle varie circostanze considerate (tabelle 3, 4, 5, 6, 7). Prima dell’utilizzo sugli atleti, il sistema è stato testato su dei parallelepipedi e successivamente su dei cilindri.
Risultati
I risultati ottenuti sono disponibili sia in formato grafico che numerico. Dalle visualizzazioni grafiche è possibile vedere la distribuzione delle grandezze fisiche di interesse: la distribuzione della velocità e della pressione3 all’interno del volume studiato. La visualizzazione della distribuzione delle grandezze fisiche è disponibile nei seguenti modi:
• Contour che consente di visualizzare la distribuzione di una grandezza fisica x es. la pressione su una determinata superficie o su una particolare sezione;
• Vector che permette di visualizzare l’intensità e la direzione di una grandezza fisica x es. la velocità all’interno di un volume oppure su una determinata superficie o su una particolare sezione.
I risultati numerici delle forze agenti sul corpo degli atleti a causa del loro moto e del vento sono raccolti in tabelle. L’effetto delle forze agenti sugli atleti è la somma di un effetto “dinamico” dovuto alla resistenza dell’aria con l’effetto dovuto alla viscosità della stessa.
Nelle figure seguenti risulta evidente dove esiste l’effetto della “scia” delle lepri rispetto all’atleta e la notevole differenza di AD fra questi e le precedenti simulazioni con parallelepipedi e/o cilindri.
Dalle precedenti tabelle risulta evidente dove esiste l’effetto della “scia” delle lepri (1-2-3-5), rispetto all’atleta (4).
In assenza di vento il vantaggio dell’atleta (4) rispetto alle lepri è significativo ad ogni velocità ed il risparmio di potenza e di energia aumenta all’aumentare della velocità. In presenza di vento laterale fino alla velocità di 15/18 km•h-1 il vantaggio dell’atleta (4) rispetto alle lepri non è quantificabile. A 18 km•h-1 si nota un leggero vantaggio solo con un vento laterale di circa 30 km•h-1. Oltre questa intensità, la componente laterale del vento annulla l’effetto schermante delle lepri. A 20 km•h-1 di corsa permane un lieve vantaggio in ogni condizione di vento. Solamente in condizioni di vento contrario al moto, il vantaggio dell’atleta rispetto alle lepri permane in ogni condizione e aumenta sensibilmente all’aumentare della velocità del vento.
L’ultima analisi effettuata (risultati in tabella 24) ha lo scopo di valutare la distanza in cui il coefficiente di resistenza del corridore posizionato dietro è uguale al coefficiente di resistenza della lepre (20 km•h-1 di corsa in assenza di vento).
In particolare, il modello umano costruito, seppur sperimentale e con gli evidenti limiti dovuti alla sua immobilità, ha confermato che la posizione “in scia” dietro un gruppo è più vantaggiosa di quella adottata alle spalle di un singolo atleta.
Discussione
L’ipotesi principale di questo studio era che una parte significativa di energia venisse utilizzata dai corridori per superare la resistenza dell’aria ai ritmi delle gare di lunga distanza e che questo dispendio energetico, potesse essere ridotto in posizione coperta dietro ad un altro corridore o dietro ad un gruppo di atleti.
Anche se la corsa “in scia” è ampiamente suggerita dalle riviste commerciali di running e nella letteratura scientifica sportiva, ci sono scienziati che ritengono che l’AD rappresenti solo una piccola percentuale dell’energia totale e che gli effetti sull’economia di corsa siano trascurabili fino al raggiungimento di alte velocità (Davies 1980, Strand 1985). Le enormi differenze osservate tra treadmill e pista di atletica, suggeriscono però, che l’AD può costare ai corridori una considerevole percentuale dell’energia totale, auspicando tattiche diverse per ridurre questa spesa. A tal proposito si segnala che le misure antropometriche penalizzano atleti alti e leggeri, più sensibili ai cambiamenti delle condizioni del vento, rispetto a quelli bassi e pesanti (Dapena e Feltner 1987).
Come già accennato, esisterebbe forse, un meccanismo secondario che migliorerebbe l’economia di corsa “in scia” ossia la sincronizzazione del passo fra lo scudo e l’atleta che segue. Sarebbe, pertanto, auspicabile che nuovi studi confermino o confutino tale ipotesi. Ovviamente con la corsa “in scia” non ci sono solo vantaggi. Sarebbe, infatti, dannoso per un corridore stare dietro ad un concorrente con un ritmo irregolare od un passo imprevedibile con conseguente calo di efficienza biomeccanica che potrebbe far perdere ogni vantaggio precedentemente acquisito.
Conclusione
Come si è visto, tutti i pareri espressi, confermano che la resistenza dell’aria condiziona la spesa energetica. Nel running, tutti gli studiosi, concordano sulla tesi che correre dietro ad un altro atleta permetta di abbattere in parte il costo-extra derivante dalla resistenza dell’aria di almeno il 2% e gli atleti sono ben consapevoli che è più facile correre dietro a qualcuno piuttosto che correre da soli. L’effetto era facilmente ipotizzabile, ma questi studi lo hanno dimostrato con test fisiologici (la simulazione con sistema CFD, con tutti i propri limiti, ha confermato tali risultati).
Lo scopo del presente lavoro non era quello di giustificare diretti miglioramenti cronometrici derivanti dall’utilizzo di “lepri” ma solamente di dimostrare come questa pratica permetta un risparmio della spesa energetica per protrarre più a lungo lo sforzo. É naturale che, a fronte di una riduzione totale del 2% dei valori fisiologici, si potrebbe anche ipotizzare un miglioramento diretto del 2% in termini di prestazioni che, in maratona porterebbe ad un risparmio o ad un peggioramento (senza l’utilizzo delle lepri) di ben 148 secondi al ritmo dell’attuale record del mondo di 2h03’38” ottenuto da Patrick Makau Musyoki a Berlino 2011 (5,68 m•s-1, media di 20,47 km•h-1, ritmo 2h55’8/km). Questo perché le prestazioni di resistenza, pur se dipendenti da vari fattori, sono infatti strettamente dipendenti dai presupposti energetici: la loro efficacia aumenta con l’aumento dell’economia dell’utilizzo di energia.
Tutti questi motivi spiegano chiaramente perché gli atleti considerino i “pacemakers” un fattore indispensabile nei loro tentativi di record mondiali o nazionali. É comunque da segnalare che ultimamente nell’atletica leggera, si inizia a percorrere una strada diversa: in alcuni prestigiosi meeting sono state abolite le “lepri”. Lo stesso è stato fatto nell’edizione 2010 della New York City Marathon dove, anziché la ricerca affannosa del record, si è tornati alla sfida spalla a spalla. Ove ancora permesso, quindi, atleti intenzionati a stabilire record nella maratona dovrebbero restare coperti “in scia” il più tempo possibile perché correre davanti al gruppo o isolati è certamente uno spreco di energia. Tutti gli studi relativi ai vari sport (sia acquatici che terrestri) suggeriscono agli allenatori di curare la tecnica di “scia” già dall’allenamento al fine di ottimizzare tutti gli adattamenti fisiologici e biomeccanici per ottenerne il massimo vantaggio in gara.
Limitare la discussione solamente ai risultati di queste teorie non aiuta a definire in modo chiaro la problematica (ai giorni d’oggi non si può continuare a sostenere che la massima prestazione dell’organismo umano è limitata solo da processi emodinamici e metabolici, trascurando quelli psicologici). Sicuramente l’aspetto mentale è un fattore che influenza la prestazione sportiva e i suoi importanti effetti saranno investigati nella seconda parte.
A cura di:
Giuseppe Carella, Centro Sportivo Aeronautica Militare
Salvatore Incalza, Ingegnere meccanico, specializzazione Energia – Università di Bologna
Piero Incalza, Collaboratore Centro Studi Fidal